Il Novecento

Fino al 1910 i successi e la produzione della Scuola erano stati sempre crescenti. Con al Grande Guerra si chiude uno dei principali mercati quello nordamericano, che si riaprirà solo nel 1919, con una produzione molto più orientata all’arredamento, poiché la moda degli ‘anni ruggenti’ userà per gli abiti eleganti pizzi a macchina.
I modelli e i relativi disegni muteranno profondamente dopo il 1920. I minuti e difficilissimi punti rosa, i grandi motivi barocchi ad alto rilievo verranno abbandonati, oppure semplificati e ‘modernizzati’.

Alla fine degli anni venti la grande crisi che in Italia colpiva particolarmente l’industria tessile renderà la vita molto difficile anche alla Scuola, che faticherà a collocare i propri merletti presso i negozi di Venezia, anche a causa della concorrenza delle ditte Jesurum e Olga Asta, più pronte alle esigenze del pubblico.

Nel generale tentativo di risollevare l’industria tessile italiana, compito del regime fascista degli Anni Trenta, tra l’altro con la creazione dell’Ente Nazionale Moda, anche la Scuola dei Merletti fu coinvolta e ricevette contributi finanziari governativi. La partecipazione, organizzata dalla Federazione Artigiana, alla mostra di Roma in Palazzo Venezia nel 1932 per far conoscere i merletti di Burano ottenne un lunsinghiero successo,; ma Girolamo Marcello fece un rapporto molto pessimistico all’assemblea sull’andamento di quegli anni. Comunque non tarderanno ad arrivare commissioni importanti:

  • un rocchetto all’antica pieghettato e bordato con uno splendido punto rosa per il giubileo di papa Pio XI, ordinato dal governo;
  • il velo da sposa di Edda Mussolini in punto Burano,  dono del senato;
  • l’arredo per la culla di Maria Pia di Savoia, esposta alla IV mostra della moda nel 1934, commissionato dal comitato delle dame patronesse dell’Ente Nazionale per la Moda.

I modelli formali continuano però a restare ancorati al gusto neo-barocco e neo-rococò, in sostanza i modelli dei merletti della Scuola, restarono del tutto estranei allo svolgersi delle diverse mode decorative, dal liberty al déco, al razionalismo, al novecentismo, all’astrattismo nelle arti applicate. Il tentativo di modernizzare i soggetti dei ricami e dei merletti  non ebbe mai eco nella Scuola, troppo restia alle proposte di rinnovamento. L’organizzazione del lavoro rimase quella di sempre anche negli anni Trenta, ma calarono e  le  paghe e e il numero delle merlettaie.

Centro, seconda metà XX sec.
Romualdo Scarpa e Serena Del Maschio, Primo premio IX Triennale 1951

Nel 1940 Girolamo Marcello morì  improvvisamente e così il figlio lo sostituì. Assieme all’assemblea delibererò di costituire un Ente Morale con il nome di “Scuola dei Merletti di Burano” cui spetterà l’insegnamento professionale delle merlettaie, separato però dalla Società Anonima Cooperativa “Merletti di Burano” che si occuperà invece delle vendite dei merletti eseguiti dalla Scuola.

Così trasformata la Scuola superò gli anni della crisi bellica, soprattutto grazie ai prestiti bancari ottenuti sui fidi offerti da Alessandro Marcello. Ma negli anni Cinquanta la decadenza divenne inarrestabile: pochissimi i clienti importanti, tra i quali si ricorda, per le ordinazioni favolose di biancheria,  Evita Peron. Un modello disegnato da Romualdo Scarpa ottenne il primo premio alla IX Triennale nel 1951.

Alessandro Marcello, pose in liquidazione la Società a responsabilità limitata e istituì così la  “Fondazione Andriana Marcello – Centro del Merletto di Burano”, legalmente riconosciuta nel 1966.

Negli anni Settanta e Ottanta,  in cui tutte le arti applicate e l’artigianato, persero i loro legami con la produzione e l’uso, dunque con la società intera nel suo movimento economico e culturale, l’arte dei merletti è stata sempre più emarginata, anche perché essendo ancora una produzione femminile, non riusciva a entrare nei tentativi delle avanguardie artistiche e nemmeno in quegli esigui spazi di sopravvivenza che alcune arti applicate (come la ceramica, il vetro) avevano trovato nel qualificarsi come oggetti di lusso e di arredo di prestigio.

Tuttavia le donne di Burano, coinvolte nelle profonde trasformazioni sociali, mortificate dalle basse mercedi pagate per le loro opere antiche e raffinate, e contrastate dal mercato, anche locale, dall’invasione dei pizzi estremorientali, non hanno mai smesso di lavorare merletti con l’ago e di trasmettersi quest’arte di madre in figlia: rimangono appassionatamente attaccate a questo lavoro, ne amano e ne riconoscono le creatività e le proprie radici.

Dall’ultimo quarto del novecento si  è assiste ad una lenta rinascita del settore (con corsi di apprendimento, mostre storiche, studi specilistici), portata avanti con grande determinazione, abnegazione e pazienza ancora una volta  dalla Fondazione Andriana Marcello.

 

(testo tratto da  Alessandra Mottola Molfino, I merletti della Scuola di Burano tra Ottocento e Novecento, in “la Scuola dei Merletti di Burano e la Fondazione Andriana Marcello, a cura di Doretta Davanzo Poli, Filippi Editore, Venezia 2011, pp.49-55)